Il potere curativo dell’arte esiste. Molti artisti e professionisti del settore da secoli ne decantano le proprietà terapeutiche, sia per il corpo che per la mente.
Ora ne abbiamo le prove.
Un recente studio scientifico, condotto presso il Santuario di Vicoforte dal Prof. Enzo Grossi – docente di Qualità della vita e promozione della salute all’università di Bologna – ha dimostrato che l’arte e la bellezza influenzano positivamente la nostra salute.
A 99 persone è stato prelevato un campione di saliva poco prima di farli godere della vista del Santuario e della sua magnifica cupola ellittica – la più grande al mondo – e un altro subito dopo la visita.
I sorprendenti risultati del test dimostrano che durante l’esperienza estetica il livello di cortisolo, ormone associato allo stress, diminuisce nettamente.
Questo accade a chi usufruisce dell’arte altrui.
Ma la bellezza può essere curativa anche per chi la crea?.
L’esempio di Yayoi Kusama risponde positivamente a questo interrogativo.
Eclettica artista giapponese conosciuta a livello planetare, prima di influenzare per decenni l’intero mondo dell’arte, è stata una bambina afflitta da diverse patologie neuropsichiatriche, che la portavano ad essere ossessiva nel modo di agire e di ragionare. Fin da subito la sua valvola di sfogo è stata l’arte. Già a 10 anni comincia a dipingere compulsivamente e a riportare sulla tela i suoi sogni, ma soprattutto gli incubi. Le sue allucinazioni sono così frequenti e potenti che presto la giovane Kusama si convince della loro realtà.
Inizia ad interagire con gli oggetti che la circondano ed il confine tra reale, artistico ed immaginario si fa sempre più sottile, fino a scomparire del tutto. Ecco che nelle opere entrano le sue ossessioni, le sue paure ma anche i suoi desideri più reconditi.
In principio i suoi quadri sono popolati da elementi biomorfi che prendono le sembianze di orifizi e di simboli vaginali; successivamente questi elementi cambiano forma e diventano degli intrichi di oggetti non ben identificati – quasi dei nervi biomorfici – composti da moltitudini di quadratini che via via riempiono sempre di più i suoi supporti. In questo modo l’artista riesce ad incanalare la sua sofferenza all’interno di questo vortice creativo, facendolo sfociare in un continuum ossessivo-compulsivo di forme ripetute all’infinito.
Nonostante i severi divieti della madre, la giovane Yayoi continua a dare sfogo alle sue frustrazioni attraverso la pittura.
È all’alba degli anni ’50 che vediamo apparire i primi esempi di quelli che diventeranno poi il suo immortale marchio di fabbrica. I quadratini che spezzettavano le sue tele e le rendevano simili a fragili lastre di vetro pronte a sbriciolarsi da lì a poco, vengono sostituiti da minuscoli puntini.
Diversamente da un pointillisme impressionista, i suoi pois riempiono totalmente lo spazio dei disegni senza creare delle immagini vere e proprie, e non si tratta nemmeno di esecuzioni meccaniche e spersonalizzate.
Al contrario, le piccole forme interamente realizzate a mano simboleggiano appieno l’anima passionale, instancabile e infinitamente inquieta dell’artista. I pois continuano ad aumentare e c’è bisogno di più spazio. Yayoi inizia la serie degli Infinity Nets, tele di dimensioni davvero notevoli, costellate da un pulviscolo di Kusama Dots.
La moltitudine cresce a dismisura fino a traboccare dai suoi supporti: invade il cavalletto, il pavimento e tutto quello che tocca. Come macchie di morbillo, i puntini contagiano gli oggetti del quotidiano e perfino le persone. La guerra dei Polka Dots è iniziata, tutto e tutti possono essere invasi, non si fanno prigionieri. Anzi sì.
Yayoi cerca nuove forme d’espressione ed incarcera i visitatori all’interno delle sue Room, stanze dentro le quali gli specchi amplificano all’infinito la presenza delle sue immancabili forme puntinate. Qui il pubblico viene catapultato all’interno del suo mondo ossessivo, ne sperimenta le sensazioni, le angosce e allo stesso tempo anche i sollievi.
Ma all’artista tutto questo non basta, vuole far uscire la sua arte dalle gallerie ed obliterare il mondo intero. Comincia così ad esibirsi in pubblico attraverso performance inaspettate dove i protagonisti sono lei, i Polka Dots, a volte alcuni performer e il pubblico stesso. I suoi happening sono sempre diversi, ma hanno un unico comun denominatore: l’obliteramento, quindi la purificazione e la smaterializzazione, di tutto quello che invadono.
L’“esplosione anatomica”, da lei stessa così definita, colpisce potentemente tutto: il mondo della pittura e del disegno, la scultura, le performance, l’installazione e perfino l’arte ambientale. Ma è nel momento in cui la Kusama raggiunge il settore della moda e del product design che avviene la rivoluzione. Non nel suo stile, ma nello spirito con cui si approccia alla sua arte.
Durante i primi anni del nuovo millennio nascono infatti delle collaborazioni con importantissimi nomi della moda. Ecco che i suoi dipinti si trasferiscono sulle creazioni di Issey Miyake e, successivamente, anche su borse, abiti, scarpe, accessori e gioielli firmati Louis Vuitton.
I marchi di fabbrica dell’artista – Polka Dots, i nervi biomorfici, la rete infinita – si estendono sui grandi classici della casa di moda francese, creando una collezione unica, simbolo di come l’arte possa sfociare su altri canali per raggiungere il pubblico in modi sempre diversi ed innovativi. In questo caso il visitatore è però un acquirente, che – grazie alla collaborazione tra Yayoi Kusama e l’ex direttore artistico di Louis Vuitton, Marc Jacobs – può permettersi di portarsi a casa un’opera originale ad un prezzo molto più accessibile e di viverla sulla sua pelle ogni giorno.
Oltre ai prodotti si dedica ad obliterare le vetrine della maison, creando delle installazioni artistiche che al tempo stesso hanno lo scopo di presentare la collezione attraverso il suo design unico. Questa è quindi la vera svolta Pop dell’artista, che comincia a rendere meccanici i suoi pois e li fa diventare al 100% pop-olari. A questo punto la critica si divide: certamente la coerenza stilistica dell’artista è assolutamente impeccabile, ma si può dire che questa svolta commerciale abbia minato il vero scopo della sua arte – ovvero canalizzare le sue ossessioni – oppure è solo un modo diverso e più ampio per esprimerle? Ai posteri l’ardua sentenza.
La deflagrazione Kusamiana si è quindi propagata nel tempo e nello spazio, ha investito chiunque, qualunque cosa, è iniziata nel secolo scorso e ancora oggi ne subiamo i suoi effetti. Yayoi Kusama ha da poco affermato: “La terra è un punto. Io sono un punto. La luna è un punto. Il sole è un punto. Le stelle sono punti.
I punti sono tantissimi, infiniti; ed è per questo che la mia vita è stata una continua battaglia per la creazione della mia arte”. Da queste parole si capiscono perfettamente i motivi per i quali da circa 70 anni l’artista continua ostinatamente e coerentemente a riempire la sua vita di Polka Dots.
Non possiamo sapere se l’arte abbia realmente salvato la Kusama dai suoi disturbi, ma sappiamo per certo che la lotta contro i suoi demoni è stata superata dalla battaglia per la creatività e che le sue opere hanno protetto molti di noi dai nostri alti livelli di cortisolo o, per lo meno, lo hanno nettamente diminuito.
Story . Cristina Bigliatti
Photo . Tomoaki Makino