Nel 1966, all’apertura del cantiere per la “Casa Bunker” di Cini Boeri a La Maddalena, le coste della Sardegna settentrionale sono sospese tra il torpore di un passato di pastorizia e pochi traffici marittimi e un futuro di esclusività turistica che sfumerà nel kitsch. I primi esploratori estivi inglesi, romani e milanesi che giungono sull’isola chiamano tanti bravi professionisti dell’epoca a progettare i loro lussuosi pied-à-terre: oltre a Cini Boeri, che realizza anche la “Casa Rotonda” (1966-1967) e in tempi molto più recenti “La Sbandata” (2003-2004), in Gallura e nel sassarese costruiscono sofisticati esempi di lettura e integrazione nel paesaggio anche Roberto Menghi, Alberto Ponis, Umberto Riva, Marco Zanuso. La “Casa Bunker” è uno dei prodotti più famosi di questa colonizzazione soft: l’edificio poggia letteralmente sulle scogliere del golfo dell’Abbatoggia, i cui dislivelli non sono appianati ma riprodotti nelle diverse quote degli ambienti interni; il suo volume rastremato, al tempo stesso primitivo e alieno, intonacato di un grigio scuro che ricorda lo smalto delle navi, è una presenza enigmatica che si confonde nella macchia mediterranea; la pianta a C protegge il patio centrale dai venti dominanti, qui fortissimi; il mare è a pochi metri, ché all’epoca non esiste ancora alcuna normativa a vietarlo. Immagini di mondi balneari molto diversi si accavallano nell’estate del 1973 tra le pagine dell’Abitare militante di Piera Peroni, che intitola due ricchissime monografie con una domanda, non retorica: “Come è andata la vacanza? Male, grazie. Ma perché?”.
Il turismo è diventato costume di massa e le coste ne pagano le conseguenze, mentre esplodono la conurbazione ligure e le città lineari della Romagna e della Versilia. In pochi anni, l’utopia per pochi di un rapporto privilegiato con un paesaggio di qualità, confrontata con la necessità democratica della quantità, si è trasformata nell’anti-utopia della cementificazione selvaggia. L’urgenza del grande numero è il fattore più evidente di questa drammatica transizione, ma non l’unico. Curiosamente, è il neurologo Renato Boeri, che si separa da Cini proprio al tempo della costruzione della “Casa Bunker”, a spostare l’attenzione dai risultati del fenomeno (milioni di metri cubi di condomini vista mare) alla sua causa, chiedendo ai lettori di interrogarsi su “Cos’è la vacanza?”. A suo parere, le coste italiane si sono trasformate in città trapiantate perché è stato frainteso il ruolo della vacanza come momento di libertà, dove reinventare sé stessi e il proprio habitat e “agire al di fuori dei riti consueti”. «Perché la fantasia (sia) al potere, almeno per un mese!».
Se, a prima vista, la “Casa Bunker” è semplicemente la soluzione raffinata di un programma facile e molto specifico (la seconda casa per una famiglia alto borghese), l’approccio psicologico di Boeri ne autorizza una lettura più complessa e generalizzabile. Quella stessa “famiglia tradizionale” può sperimentare qui una modalità inedita di vita in comune: i suoi componenti possono vivere una privacy inconsueta nei quattro nuclei indipendenti di camere con servizi; incontrarsi nello spazio condiviso e baricentrico del patio; perdersi nella natura ad insaputa degli altri ospiti grazie agli accessi indipendenti di ogni stanza; utilizzare la scogliera, che preme sui bastioni della villa, in continuità con l’interno domestico. Così, nel bunker la costruzione consapevole del paesaggio costiero coincide con un’etica possibile della vacanza, in un equilibrio delicatissimo che in pochi sapranno riprodurre negli anni a venire.
Story . Alessandro Benetti
Photo . Paolo Rosselli