Michelangelo Pistoletto, Paradise at the centre

L.B.
Chi è e da dove arriva Michelangelo Pistoletto?

M.P.
Sono nato da un padre artista e da una madre che voleva imparare l’arte con lui. Mio padre lavorò ad una serie di opere da Zegna, nel Biellese, dal 1930 al 1933, anno in cui nacqui io, poi la famiglia si trasferì a Torino nel ’34. Ho quindi vissuto a Torino fino al 1993, quando ritornai a Biella perché avevo trovato questo spazio (ora divenuto la Cittadellarte), appropriato per il progetto che avevo in mente. Non volevo uno studio personale o un museo, ma un luogo attivo, un laboratorio dove l’arte potesse incontrare la società..
Ho sempre respirato l’arte nel laboratorio di mio padre che, oltre alla pittura, si dedicava al restauro di opere antiche. Da lui ho imparato a sviluppare la ricerca sul passato. Mia madre spingeva nella direzione opposta ed era convinta che il futuro fosse da cercare nella pubblicità. In effetti iniziai a frequentare l’insegnamento di Armando Testa che aveva aperto una Scuola a Torino, in Piazza Vittorio. Con la pubblicità scoprii l’arte contemporanea e le forme dell’avanguardia. Quando arrivò la sua richiesta di entrare nel suo studio, in modo più professionale, io avevo già intrapreso una mia attività di comunicazione. Conservammo una profonda amicizia: mi confidò di aver desiderato di essere un artista. Considerava la pubblicità’ un’arte minore, mentre io lo ritenevo a tutti gli effetti un vero artista. Il mio concetto di artista non è quello di un individuo isolato, ma piuttosto calato operativamente nella realtà e quello che lui ha fatto lo esprime ampiamente. Ho sempre pensato che l’arte non debba essere unicamente autoreferenziale, ma essere agganciata alla vita reale. Nel mio lavoro questo ha trovato un preciso fondamento nei quadri specchianti e in seguito non mi sono accontentato di stare a guardare le cose, mi sono attivato per coinvolgere l’umanità.

L.B.
Lo specchio è un po’ il marchio di fabbrica di Michelangelo Pistoletto, come è nato questo processo espressivo?

M.P.
In un primo momento si trattava di una ricerca d’identità personale: la riflessione era che l’artista poteva duplicare tutto ciò che vedeva, tranne se stesso. Era il 1960, lavoravo sul tema dell’autoritratto, in un processo dialettico di ricerca tra figura e sfondo. Lo sfondo era monocromo, di diversi colori, poi sono arrivato a creare una superficie nera lucidissima, ho sperimentato l’argento, l’oro e le superfici metalliche e infine l’acciaio inossidabile lucidato a specchio. Ne è nata una dimensione fenomenologica nuova: nel quadro non ero più solo, la realtà vi si specchiava e in tal modo lo spettatore entrava nell’opera. Lo specchio rimanda la verità delle cose, non può mentire e diventa strumento di comunicazione.

L.B.
La pubblicità dunque è stata importante nell’introdurre questa propensione alla comunicazione.

M.P.
Importante quanto la scoperta del passato. Nello specchio comunichi con gli elementi di spazio e tempo: vedi dietro di te, quello che è stato, e vedi in avanti il tempo a venire. Tu sei nel mezzo. Sei nel presente.

L.B.
Riconoscendo l’altro dentro lo specchio ne è nato il desiderio di coinvolgerlo… 
M.P.
La mia identità si rivelava nel confronto con l’umanità e mi spingeva ad uscire dallo specchio per incontrare la pratica realtà.

L.B.
Come artista risulti atipico, meno egocentrico, così proiettato verso gli altri! 
M.P.
Si tratta di un’approccio presente fin dall’apertura dello studio avvenuta nel 1967; pubblicai un Manifesto con il quale aprivo il mio studio alla partecipazione creativa degli artisti. Arrivarono poeti, musicisti, attori, cineasti. Con il teatro, poi, uscivamo per strada. Ne nacque un laboratorio interattivo che coinvolgeva diverse discipline e un coagulo di forme espressive: luce, suono, immagini. Non diversamente da quanto accade oggi a Cittadellarte dove vogliamo fare interagire il linguaggio artistico con i diversi ambiti del tessuto sociale: politica, economia, educazione, produzione.

L.B.
Cittadellarte è infatti un luogo molto attivo dove si sviluppano continuamente nuovi progetti come Unidee, Love Difference, Leat Eat.Bi, le Terme Culturali, recentemente promosse. Tra gli altri uno dal nome “VISIBLE”, che incuriosisce in rapporto al tema di questo numero della rivista. Di cosa si tratta? 
M.P.
VISIBLE intende rendere visibile ciò che non lo è. Nel sistema dell’arte sono visibili le opere esposte nelle gallerie, messe in mostra come oggetti. Stiamo lavorando ad un concetto di arte che rifugge da questi valori di mercato, che penetra in una zona d’ombra. Il progetto comprende un premio ed è realizzato da Cittadellarte con la Fondazione Zegna. Vogliamo allargare il cono di luce su quello che sta intorno al sistema dell’arte per scoprire nuovi artisti che si pongono oltre i territori tradizionali.

L.B.
Cittadellarte cresce e recentemente è stato inaugurato un nuovo grande spazio, vuoto, dedicato al Terzo Paradiso: quale è il suo significato? 
M.P.
Bisogna specificare la scelta del termine. Il Paradiso nasce dall’antica lingua persiana ad indicare un giardino circondato da mura, un luogo protetto dove regna la combinazione tra “natura” e “artificio”. Denota la capacità di fare crescere la vegetazione in un luogo arido, inospitale, attraverso la volontà di creare benessere per l’essere umano. Nella fantasia l’idea di benessere si è poi spinta anche oltre la vita stessa, in un infinito ultraterrestre. La congiunzione tra i due mondi, naturale e artificiale, rappresenta un punto cruciale, identificato, come immagine, dal morso della mela. Vi e’ la grande capacità di trasformazione creativa del mondo e allo stesso tempo la responsabilità verso il sistema ecologico. Il Terzo Paradiso richiama alla nostra attenzione la capacità di saper usare la scienza e la tecnologia per la sopravvivenza del pianeta.

L.B.
Per qualcuno il “peccato originario” sta nella volontà di conoscenza che ci fa uscire dalla condizione di inconsapevolezza e nella sfida rappresentata dal volere, a nostra volta, creare. 
M.P.
La mela è la natura pura. Il nostro intervento modifica la natura e deve essere responsabile. La sede del Terzo Paradiso a Biella è uno spazio vuoto dedicato alla riflessione. Il segno tracciato sul pavimento si rifà a quello dell’infinito, costituito da una linea continua che incrocia se stessa, disegnando due cerchi. Ho introdotto però un altro cerchio al centro, una parentesi, che rappresenta la DURATA. Nella parentesi ci siamo noi e la nostra vita, al centro dell’infinito. Lo spazio vuoto è dedicato alla meditazione, alla possibilità di concentrare il pensiero su questa nostra condizione di autonomia responsabile.

L.B.
Uno spazio di sospensione del tempo? 
M.P.
C’è sempre stata la necessità di spazi spirituali; i templi hanno svolto questa funzione. Le persone hanno bisogno di spazi di raccoglimento, anche non religiosi. Nell’architettura è importante questo ruolo dello spazio per l’interiorizzazione.

L.B.
Il progetto “Novacivitas” si occupa di architettura, legandola in particolare ai temi della sostenibilità… 
M.P.
Tutti gli aspetti della vita sono integrati, l’arte assume valore di sostenibilità e responsabilità. Dal 2000 realizziamo iniziative che portino, secondo il nostro programma, “l’arte al centro di una trasformazione responsabile della società”. L’arte non rimane estranea alla vita pratica. L’architettura poi è una delle primarie componenti del fenomeno sociale: protegge, connette, organizza.

L.B.
Michelangelo ti piace che ti chiamino “Maestro”? 
M.P.
Non mi disturba. Un impegno verso la società e i giovani ci vuole. Quindi giustifica un ruolo. Comprende la grande responsabilità di insegnare a essere liberi.

L.B.
L’artista assume dunque una figura sociale, direi politica? 
M.P.
Vedo il lavoro dell’artista come massima espressione della libertà. Un lavoro che oggi non è più individualistico, ma aperto alla società. Il segno del Terzo Paradiso è aperto, trinamico. I due elementi agli estremi possono essere in antitesi, ma dalla loro combinazione nasce un terzo elemento vitale, che prima non c’era. Avviene così nella chimica tra idrogeno e ossigeno per avere l’acqua, tra maschio e femmina per far nascere una terza persona, tra gli opposti politici, dittatura e anarchia, per formare la democrazia, dal giallo e blu per ottenere il verde. Il terzo elemento è il risultato della creazione e nasce dalla dualità. Non posso pensare di essere solo, ma di essere almeno in due e quindi trovo la società. Il terzo paradiso è quello che ancora non esiste, dipende da noi realizzarlo.

Story . Luisa Bocchietto
Photo . Piero Martinello