Fabio è lì ad aspettarci. Con la sua maglietta provocatoria “Who the fuck is Fabio Novembre?”
Ci accoglie con grande cortesia; il suo sguardo è curioso ed interrogativo; quasi sicuramente si sta chiedendo cosa debba aspettarsi da questo incontro. Ci bastano pochi minuti per capire che possiamo fidarci l’uno dell’altro. C’è solo la voglia di scoprirlo e di conoscerlo in modo più approfondito rispetto alla superficie patinata attraverso la quale siamo abituati a vederlo.
L’immagine pubblica che spesso viene fuori di Fabio Novembre è quella di un designer molto sicuro di sé, parte integrante dello Star System del design, e non solo; talvolta un po’ esagerato nelle sue esternazioni.
Almeno, questa è la persona che mi sono preparata ad incontrare. Invece, trovo un uomo maturo, nonostante l’aria da ragazzo scanzonato; un uomo molto gentile, che ha voglia di parlare di sé e di aprirsi senza filtri. Il cuore sopra i nervi; in certi momenti così disarmante da fare tenerezza. Non mi viene di chiedergli dei suoi prodotti.
Preferisco indagare e capire meglio chi sia davvero Fabio Novembre.
Fabio Novembre: Chi sono? Un uomo antico, anzi preistorico. Nel senso che i miei valori sono quelli basici: famiglia, amici, lavoro. Non mi do delle priorità: o meglio, le mie figlie sono il bene assoluto, ma per il resto, non esiste un confine netto fra vita privata e vita lavorativa. Il lavoro è la mia vita e la mia vita è dentro il mio lavoro. Una volta che si capisce questo di me, si capisce anche la mia dimensione professionale. In fin dei conti per comprendere chi sia un designer, basta guardare i suoi lavori: gli oggetti che creiamo sono la radiografia della nostra vita.
I miei progetti mi rappresentano perché sono semplicissimi, istintivi, primordiali nel senso etimologico del termine.
Il mio è veramente pop design: pop nel senso di popolare e popolare nel senso di semplice, di facile interpretazione.
Questa immediatezza deriva proprio dal mio essere un uomo antico.
Sono una specie di cavernicolo contemporaneo e non faccio altro che lasciare impronte di mani sulla grotta.
Anche nella comunicazione con le mie figlie: quando erano più piccole spesso non spiegavo loro le cose. Piuttosto le abbracciavo, facevo suoni, cercavo di avere una presenza fisica per trasmettere loro quelli che erano i miei sentimenti, quello che per me era giusto o sbagliato. Sono una specie di gorilla evoluto: pazzescamente istintivo, molto animale, decisamente primordiale.
Simona Finessi: Sei sempre stato così o nel tempo il tuo approccio al progetto è cambiato?
FN: Sicuramente è cambiato, ma non nel senso che puoi immaginare. L’età e l’esperienza portano delle consapevolezze che cambiano la prospettiva. A 20 anni avrei detto: “Bisogna essere così per essere creativo…”. A 50 anni mi sento solo di dire: “Ciascuno faccia come cazzo vuole”, perché proprio non ci sono regole d’ingaggio per questo mestiere.
Ha ragione Zygmunt Bauman quando dice che tutti viviamo una vita liquida: dobbiamo solo galleggiare con stile ed eventualmente nuotare, se pensiamo di avere una direzione.
Anche perché oramai la creatività è presa a calci nel culo dal mondo; tutto è così mischiato e finto da non riuscire più a distinguere i tratti di ciò che è design da ciò che è solo fake-design. Le interpretazioni sono talmente tante che non si può più parlare di creatività.
Diciamo che quelli bravi si riconoscono e fra di loro si annusano, si piacciono e si stimano… gli altri vaffanculo!
Molti cercano di farti digerire delle cose, di passarti certi messaggi, che se uno appena ci capisce qualcosa, dice: “ma che cazzo state dicendo?!”. Però siccome non riesco ad arginare questo tsunami di deficienza, allora mi metto da parte: io non c’entro niente, non mi faccio travolgere. Ecco, diciamo che oggi ho capito che non c’è niente da capire.
SF: Cos’è che proprio non sopporti del mondo del design?
FN: Non sopporto la finta creatività. Chi si ostina a far finta di essere creativo anche quando sarebbe meglio lasciar perdere. Siamo tutti nati per fare qualcosa, ciascuno di noi ha dei talenti da giocarsi, ma mi fanno imbestialire quelli che si ostinano a cercare talenti in ambiti che proprio non gli appartengono. C’è stato un tempo in cui avrei voluto fare il musicista; poi il regista; poi ho capito invece che con lo spazio ci sapevo fare. Ho una grandissima percezione dello spazio, ho un controllo della terza dimensione molto forte, quindi a me viene molto facile fare quello che faccio. A volte c’è quasi da incazzarsi, perché le cose mi vengono talmente facili che un pochino mi impigrisco. Ho una sorta di impigrimento levantino di nascita.
SF: La vita tua, oggi, è quella che ti saresti immaginato quando eri ragazzo?
FN: Non appartengo a quella categoria che si immagina il mestiere già da piccolo; anche perché, come ti ho detto, mi piacevano un sacco di cose. Per questo motivo, no, non mi ero immaginato questo percorso per la mia vita, perché non mi sono mai posto il quesito di fondo: cosa farò da grande.
E ancora oggi, alle mie bambine non dico mai “cosa vuoi fare da grande?”. Lo trovo limitante e preferisco mantenermi a un livello più semplice, altrimenti si mette troppa pressione.
Quando mia figlia più grande mi dice “io da grande vorrei fare la gelataia perché mi piace il gelato” lo trovo fantastico! Il modo di educare i figli, per me, è proprio una visione del mondo. Io sono del segno della Bilancia, cerco sempre di equilibrare le cose e di mettere armonia.
SF: Cosè l’amicizia per te?
FN: Per me l’amicizia è fondamentale. Il mio elenco telefonico sembra quello di Obama: sono amico di tutti. Le persone con me si aprono in una maniera pazzesca, perché io per primo con loro non ho nessun filtro. Non ho nessuna inibizione. Mi piace spogliarmi di qualsiasi peso, non solo metaforicamente, mi piace essere nudo.
SF Hai disegnato per delle aziende molto importanti: com’è cambiato il tuo modo di lavorare nel rapporto con i clienti?
FN: Il cliente piccolo e quello grande sono assolutamente identici e il mio atteggiamento ed il rapporto che instauro è uguale. Si tratta sempre di persone: devono starti simpatiche, devi avere un feeling, devi “annusarti”, ci si deve piacere. Solo così si producono ottimi risultati. È solo questione di sintonia. Da bambini siamo tutti animali, poi ci perdiamo quando si diventa adulti; ma se cresciamo bene c’è un momento in cui torniamo ad essere animali, nel senso buono del termine.
SF: Cosa ti auguri per il tuo futuro?
FN: Mi auguro di non sprecare il mio talento.
Ti ho già detto che sono un po’ pigro e pertanto quando lavoro di meno mi arrabbio con me stesso, perché se mi sono state date queste capacità, le devo mettere a servizio degli altri. Se io so fare una cosa, quella cosa non è mia, è di tutti. Le canzoni per un musicista non sono sue, sono di chi le ascolta. Diventa una specie di medium di comunicazione, un’antenna che recepisce e manda il segnale. E quindi quando spreco il mio talento m’incazzo terribilmente, perché ogni gesto creativo mancato è un’occasione persa.
Se chi ha talento, non lo mette a frutto, tutto si intasa di falsa creatività, di spettacolarizzazione del nulla. Un inutile rumore di fondo, quando invece c’è gente che ha delle cose molto interessanti da dire a cui bisognerebbe dare il microfono. Mi piace l’idea di poter tenere occupato il mio posto, per non lasciare spazio a chi non lo merita.
Interview . Simona Finessi
Photo . Piero Martinello