Rudy Ricciotti, Disambiguation

Questa volta, hai la parte migliore. Io carico il tamburo e tu premi il grilletto. Alzo le braccia e rispetto le regole di buona condotta che mi impone la redazione. Hai diritto a sei colpi (questioni di piccolo calibro). Non approfittarne.

Bernard Khoury: «In passato l’architettura produceva forme. La forma è ancora in grado di produrre un senso?»

Rudy Ricciotti: L’insularità della forma produce eccezioni, ma Montesquieu ci aveva avvisati: «A rincorrere l’eccezione, si rischia il ridicolo». Produrre del senso è il minimo servizio dovuto. Come in una relazione amorosa, produrre piacere è il minimo di cortesia dovuta dopo aver sedotto. Oggi, la pornografia internazionale del minimalismo anglosassone colpevolizza l’architetto irrequieto. L’imperialismo stesso, con le sue mitologie, così come la decostruzione o altre nevrosi filosofiche creano enfasi nell’architetto “genero ideale”. Ma che fa l’arcangelo Gabriele? La difficoltà esistenziale è la vera sensibilità dell’architetto, ben al di là del cretinismo generale proprio del concetto necrofilo di umiltà o della volgarità necrofaga del «bling-bling».

BK: «Sei in rapporti molto stretti con la materia, penso al tuo lavoro sul cemento, all’importanza della struttura, alla resa della materia… A distanza di anni dal preteso superamento dell’etichetta moderna, si può ancora considerare che la prodezza strutturale produca senso?»

RR: Prodezza strutturale è una brutta definizione. Fa venire in mente una performance di Rocco Siffredi in un film porno in cui si è tentati di vedere solo del volgare. Il mio invito è a essere dei cristiani autentici: meglio il sesso dei neurolettici. Ci sono meno suicidi tra le pornostar che tra gli architetti. Di chi è la colpa? Calo della performance? Mancanza d’idee? Asfissia immaginaria per anoressia culturale? La vera avventura consiste nel mettere la materia sotto la dittatura della matematica per farla parlare, perché non chiede altro, quella stronza! Bisogna avere il portamento e la solidità di principi degli ufficiali di cavalleria di Napoleone che facendo un brindisi, bicchiere alla mano, gridavano: «Alle nostre donne, ai nostri cavalli, e a chi li monta».
Curzio Malaparte, dopo aver costatato che Cartesio aveva reso i francesi dei cattolici falliti, ha in seguito concluso che la cultura francese è la sola in Europa ad aver integrato la violenza nel proprio sistema cognitivo.

BK: «I tuoi progetti producono situazioni sempre molto specifiche in relazione a contesti molto precisi. Immagino che le tue “invenzioni” non siano concepite per essere riprodotte. Si può comunque parlare di uno stile Ricciotti o di forme riconoscibili nei i tuoi diversi interventi?»

RR: Se invento soluzioni narrative è perché sono un vigliacco, senza palle, non farti ingannare! D’altronde sull’argomento, la pensiamo molto diversamente. Myriam, la mia signora, sogna di andare a letto con te e di mangiarti …perché? Sei anche più basso di me! Perché io aggiungo perversione al reale trasformandolo, mentre tu sei già perverso prima di iniziare a trasformarti. Ti ho visto bere della Coca-Cola con la cannuccia dalla sua schiena nuda, senza sorridere. Sulla questione contestuale, il precipizio che ci separa è vasto come quello che separa Tsahal dagli Hezbollah. Di conseguenza, la questione identitaria diventa una questione gastronomica.
Che dimensione ha il rischio? Ricordati questa frase di Voltaire indirizzata a Rousseau: “Leggendo la vostra opera viene voglia di camminare a quattro zampe”.

BK: «Non hai il profilo di un architetto ragionevole. Il consenso spesso prevale sulla radicalità e penso in particolare agli appalti pubblici che costituiscono la maggior parte del tuo lavoro. Come fai a rassicurare le istituzioni molto serie per le quali costruisci?»

RR: Il vero problema non sono i politici. Generalmente loro sono piuttosto audaci. Il problema sono i burocrati e la burocrazia fascista. Hanno capito che, generando nocività, rinnovano il proprio territorio esistenziale. Rappresentano oggi il primo agente della disfunzione democratica. Detestano gli architetti liberi e felici, preferiscono i cortigiani. Bisogna precisare che in giovane età, gli architetti devono fare una scelta: essere politicamente corretti, per piacere al sorriso patetico di un funzionario sfumato col sorriso sardonico della Gioconda; oppure essere imprudenti, per piacere al sorriso cinico di Jack Nicholson in “Qualcuno volò sul nido del cuculo” sfumato col sorriso crudele di un politico la cui ipocrisia può essere eretta al pari delle belle arti. Io ho scelto!
Hai altre domande del genere, perverso che non sei altro? Vuoi del bianco o un rosato?

BK: «L’architettura può ancora essere considerata come un atto politico?»

RR: Deve essere un filo conduttore. L’architettura non è una disciplina autonoma, altrimenti è un incubo. La relazione con l’Economia è maggiore. Richiede profondità di campo – che sia ridistribuzione della ricchezza difendendo gli impieghi territorializzati, e resistendo alla delocalizzazione industriale, oppure che contribuisca attraverso il rinnovamento della memoria dei mestieri a rinsaldare la coesione sociale come nel 19o secolo: è un vero progetto politico e romantico.
Oggi i rischi sono enormi, perché da una parte il consumismo «bling-bling» è onnipresente, mentre noi dovremmo perseguire la disobbedienza tecnologica; e dall’altra parte, la nuova barbarie ideologica dell’ecologismo come religione cieca e senza riscontro nei risultati, corrompe gli animi fragili. Il guadagno senza lavoro affascina sia i mercati finanziari sia gli ecologisti da bistrot dei quartieri “radical-chic”. Che fare? Pregare affinché Satana ci salvi dal male!
L’immenso Pier Paolo Pasolini, grande cristiano comunista che mi fa pentire di non essere omosessuale, scriveva che l’americanizzazione consumistica dei comportamenti distrusse la società italiana più del fascismo.
Senti: l’Arcangelo è più importante di Dio.

BK: «Ricciotti: Architetto internazionale o Architetto di quartiere?

RR: Come resistere, fuggire a una o all’altra di queste profondità identitarie abissali, motori di sparizione!? Il viaggio è distruttivo e sfinisce invano. Jacques Tati in «Playtime» aveva anticipato le conseguenze estetiche della globalizzazione. La dispersione rovina lo spirito. Forse, come per gli alberi, bisogna recidere i rami per far affondare di più le radici? Il locale ha senso a partire dall’istante in cui non diventa dottrina, meschino regionalismo o semplice scorciatoia incolta. Non ho la risposta, il termine «glocale» serve a dare un’idea? Per quanto mi riguarda, sono un architetto provinciale, reazionario, manierista e piccolo borghese.
“Meglio avere una cattiva idea, che non averne alcuna” disse il Generale De Gaulle. Va bene così?

BK: «No!»

RR: Bene, allora ansioso e senza ambizione internazionale… Apro un’altra bottiglia di bianco, amico mio?

Interview . Bernard Khoury
Photo . Piero Martinello