Piero Lissoni, Perfectly Imperfect

Simona Finessi Chi è l’uomo Piero Lissoni?
Piero Lissoni Se lo sapessi! Ho buttato via dieci anni di analisi senza arrivare a nessuna conclusione. Partiamo dal presupposto che normalmente gli architetti e i designer sono noiosi. Io invece mi sono posto come limite di essere seriamente un rompipalle – usando un francesismo – su un sacco di cose, ma contemporaneamente mi sono dato anche il limite della misura umana, che è una strana miscela, un’alchimia non controllabile. Nella professione devo essere il più preciso possibile e nello stesso tempo in questa precisione cerco di mettere una certa disattenzione. Mi piace molto l’idea di controllare, ma nello stesso tempo anche di sbagliare delle cose o di non essere perfettissimo. Mi piace sempre pensare che qualcosa possa diventare leggerissimamente imperfetto.

SF A te cosa piace progettare di più?
PL Tutto, faccio solo progetti che mi piacciono, proposti da persone che mi piacciono.

SF So che hai una forte passione e attitudine verso la musica…

PL In realtà ho una forte passione e attitudine verso la vita, che è un’altra storia. Comunque io sono appassionato di tutto quello che è intelligente dalle caldarroste alla musica, dai fumetti ai giochi.

SF Trovi anche ispirazione da queste contaminazioni?
PL Assolutamente, come ti ho detto sono un umanista, per me la miscela è naturale. Quando mi chiedono “cosa” mi ispira dovrei spiegare che alcune volte l’ispirazione è una sensazione, un odore, la vista improvvisa di una miscela di colori data da una ragazza che cammina per strada e si mischia a un automobile che passa dietro, o un muro o un cibo che assaggi, una musica che senti, un libro che stai leggendo. Colleghi mondi sfaccettati e differenti e questi diventano un’altra storia.

SF Com’è nata la “liaison” con David Guetta?
PL In una magnifica soirée a Miami: io e David abbiamo iniziato a chiacchierare di strumenti come Revox, Stellavox, macchine per registrare, Garage Band e altre diavolerie ipertecnologiche, consolle che lui usa per “manovrare” la musica, per il suo lavoro, e che io conosco e uso per passione.

SF A che punto sono i lavori per la sua casa a Miami?
PL Adesso siamo al 15° piano e per arrivare dove arriverà lui ne mancano ancora 20… credo che cominceremo l’allestimento vero l’anno prossimo. La torre dovrebbe essere finita, in tutte le sue strutture, quest’anno. A inizio 2017 cominceremo i lavori veri e propri.

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SF E come vi siete “scelti”?
PL Entrambi abbiamo usato lo stesso metro di giudizio. Io lo conoscevo come musicista, lui mi conosceva come architetto e designer, ma non ci conoscevamo personalmente. Ci siamo “scelti” davanti a un vino: io ho optato per un Mersault, lui voleva uno Chablis, ci siamo quindi scoperti abbastanza simili, i due vini arrivano più o meno dalla stessa area, hanno la stesso tipo di sapidità. Se avessimo parlato davanti a uno Chardonnay e un Sauvignon, mi sarei alzato dal tavolo e me ne sarei andato. La cosa che mi interessa, con qualsiasi cliente che mi capiti di incrociare, è trovare dei punti di contatto. Con tutti i clienti spendiamo energia, sangue, incazzature, sogni, responsabilità, creatività. La relazione diventa molto intima, e da un certo punto in avanti l’interazione diventa molto profonda. Se il metro di giudizio fosse solo economico, inizierei già col piede sbagliato. Se i miei clienti non sono quello che immagino non posso lavorare per loro. Quando ci ho provato e mi sono forzato, i progetti non sono approdati da nessuna parte.

SF Alla fine di ogni progetto trovi qualcosa di “modificato” anche in te?
PL Sì, estremizzando la discussione sì. Alla fine non si è mai uguali. È un po’ come succede nelle relazioni: cerchi di prolungarle all’infinito, per motivi buoni o cattivi. Io, per esempio, non metto mai la parola fine ai miei progetti: se i clienti non mi obbligassero, coltello alla gola, a un certo punto a smettere di modificare, io continuerei all’infinito a cambiarli.

SF Quindi sei un perfezionista?
PL Ogni volta che progetto qualcosa comincio a vederne non le potenzialità e le qualità, ma solo i difetti. Da un certo punto in avanti questi difetti, ai miei occhi, non vanno più al trotto, vanno al galoppo e allora inizia il processo di miglioramento: e continuo, cambio, miglioro, ma intanto i tempi si accorciano sempre di più. Quindi arrivo al punto di non ritorno. Il tentativo è sempre quello di spostare in là la fine, cercando di perfezionare, non perché lo io veda il progetto difettato: lo vedo proprio sbagliato. Fosse per me i miei clienti non dovrebbero mai presentare niente.

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SF In questo numero di PLatform indaghiamo il rapporto tra etico ed estetico: qual è il tuo pensiero su questa dicotomia?
PL Le parole hanno dei significati profondi, invece diventano suoni. L’etica è un modello di rispetto, di responsabilità. Anche responsabilità è una parola meravigliosa, ma usata a sproposito. È una cosa molto profonda. Responsabilità è la consapevolezza di lavorare con gruppi umani molto complicati. Responsabilità è mantenere una creatura come questo studio usando i soldi veri, non quelli del Monopoli, e pagando gli stipendi. Adesso è venuta fuori questa storia dell’etica: per noi italiani, che la mattina che la distribuivano siamo rimasti a letto, fa un po’ ridere. Non capisco i colleghi che parlano di progetti etici o che lavorano con aziende etiche: cosa vuol dire, esattamente? Per me sono delle succulente bufale. Se vogliamo fare degli esempi, parliamo della verniciatura dei mobili. Nel 1996 per avere protezione superficiale e qualità sostenibile (in modo che se ci versavi sopra una tazza di caffé, questo non penetrava nel legno) le superfici venivano verniciate con circa 100-120 grammi al metro quadro. Oggi per ottenere effetti simili si usano tra i 20 e i 40 grammi, per un motivo semPLicissimo: è antieconomico usare oltre 100 grammi di vernice, quindi sono nate vernici che funzionano con un quantitativo minore. L’industria è sempre stata intelligente, questo è il paradosso: magari vorace, cattiva, senza regole, ma intelligente.

SF Quello che tu chiami capriccio, credo che sia in qualche modo legato alla maturità: a un certo punto si diventa in generale meno disponibili…
PL Io ero conosciuto come un rompiscatole già da piccolo! Quando abbiamo iniziato, io e la mia socia disegnavamo e lavoravamo su un tavolo da cucina. Quando abbiamo aperto lo studio le nostre cene erano latte e biscotti, non avevamo un euro e avevamo zero clienti. Quando non ne potevo più di latte e biscotti, capitavo misteriosamente a casa dei miei genitori alle otto e mezza… Ma anche allora non prendevamo clienti per soldi, ma per i buoni progetti. Da subito abbiamo iniziato a essere selettivi. Adesso siamo in 70 in studio a Milano, 10 a New York, 5 a Miami, 4 a Tokyo. Questo perché abbiamo scelto, con molto responsabilità. Io non mi sono mai venduto.

SF Questa è una forma di etica personale…
PL Diciamo che sono una prostituta di altissimo livello: quando mi metto giù da corsa non mi ferma nessuno.

Interview . Simona Finessi
Photo . Piero Martinello