Ritmo, natura e tradizione. Questi sono tre degli elementi fondamentali che compongono il linguaggio architettonico di Kengo Kuma. Le sue strutture rappresentano un rigoroso equilibrio, generato dall’integrazione tra le sapienti tecniche dell’arte del costruire giapponese e un’attenta selezione di materiali, tra i quali spiccano il legno e la pietra, che al meglio rappresentano l’eternità della natura.
I suoi progetti respirano, vivono, sono realizzati rispettando le peculiari esigenze e caratteristiche di ogni singolo cliente. Diventano la loro immagine, restituendo un’armonia perfetta tra bellezza, precisione e funzionalità.
PLT Le sue architetture sono spazi conclusi, definiti in modo molto preciso ma creano al loro interno atmosfere rarefatte, quasi pulviscolari che trasmettono una sensazione di infinito. Quali sono le regole che portano a questo tipo di architettura?
K.K. L’architettura moderna è composta da due elementi totalmente separati tra loro: la struttura e la sua pelle. Per esperienza personale credo che dividere lo scheletro dal rivestimento sia una cosa inopportuna; la loro integrazione per me è molto importante. Quello che cerco di creare in architettura è una melodia e, come nella musica, ciascun suono non può essere suddiviso. Solo donando alla composizione un ritmo preciso posso fare sperimentare alle persone questa sensazione di infinito.
PLT Rimanendo in ambito musicale, quale è la relazione tra la ricerca di precisione e la sua architettura?
K.K. L’esattezza è il ritmo. L’architettura senza di esso, non provoca alcuna emozione. Come nel jazz, il ritmo è una componente fondamentale, a differenza della melodia che può passare in secondo piano.
PLT Altri due elementi che utilizza spesso in modo personale sono la pietra e la luce. Per fare riferimento a un progetto specifico, come quello del Museo della pietra di Nasu, come li hai messi in relazione tra loro?
K.K. La cosa più importante fu decidere come usare la pietra. Generalmente nel XX secolo veniva impiegata solo come sottile rivestimento della struttura, utilizzo per me incompleto. Nel museo abbiamo voluto che fosse usata in tutte le sue possibilità, nella sua interezza materica.
La posa sfalsata dei blocchi crea una parete vibrante, alla quale viene sottratto un elemento a intervalli orizzontali. In questo ritmico alternarsi di pieni e di vuoti il senso di immaterialità è dato dalla luce che filtra dagli spazi lasciati liberi.
La luce è uno strumento importante per togliere fisicità alla materia: la dissolve e la rivela.
PLT Non è la prima volta in cui la tradizione entra a far parte della sua ricerca progettuale. C’è qualche elemento del passato in particolare al quale si ispira?
K.K. La casa in cui sono nato e cresciuto è stata molto importante. Era una casa tradizionale giapponese, che costruì mio nonno. I serramenti in legno lasciavano passare l’aria, la facevano respirare. A me però allora non piaceva perché era troppo piccola. Negli anni ‘60, quando ci fu il boom economico, prese piede lo stile americano. Entrando nelle case dei miei amici mi resi conto, improvvisamente, che la mia casa era decisamente migliore, aveva un’anima. I loro giardini erano sempre uguali, nel mio invece potevo seminare fiori e verdure e vederli crescere.
PLT La sua casa attuale com’è?
K.K. La mia casa? (sorride) L’ha progettata mia moglie! Anche lei è architetto, anche lei insegna all’università ed è specializzata in progetti residenziali. Se avessi disegnato io la nostra casa, si sarebbe forse lamentata del mio progetto ogni giorno! In questo caso ho preferito lasciarmi condurre dai suoi desideri.
PLT Come ci ha appena suggerito, ricordando la casa della sua infanzia i bambini necessitano di spazi meno definiti per sperimentare la loro libertà. Come pensa debbano essere progettati i loro ambienti?
K.K. Le scuole del XX secolo sono perlopiù fatte di cemento armato e acciaio. Questi materiali industriali non sono adatti ai bambini. Sono troppo duri, troppo pesanti per il loro corpo, che necessita invece di superfici più morbide.
Quando mi chiedi come penso debba essere un progetto per i bambini, io penso appunto alla morbidezza.
Anche l’emozione che trasmette uno spazio è molto importante. Se l’ambiente è noioso l’immaginazione non si attiva, in questo caso la luce naturale gioca un ruolo veramente importante.
PLT C’è bisogno forse di un contatto più diretto con la natura?
K.K. La fine del XX secolo è stata segnata dall’architettura dell’industrializzazione. Oggi sta finalmente prendendo piede una nuova era. Gli attuali architetti sono portati a costruire ambienti nuovi e diversi rispetto al passato, arrivando a progettare anche architetture-giardino. Il giardino è senza limite, non ha compimento, è infinito, è natura. In questo tipo di spazio le nuove generazioni possono crescere e ritrovare una dimensione mistica.
PLT Quanto è importante la relazione con i suoi gruppi di lavoro?
K.K. Nel mio ufficio di Tokio ci sono 120 persone, 30 in Cina e 20 a Parigi. Non c’è una gerarchia. È paritario. Per ogni progetto costituiamo piccoli gruppi di lavoro. Tutti possono parlarmi direttamente, fare delle proposte. Tutti lavorano volentieri. È fondamentale per creare qualcosa di nuovo.
PLT Quanto i suoi progetti riflettono l’identità del committente?
K.K. L’identità per me rispecchia il vissuto del cliente. Come appare, come si muove, come mangia. Cerco di disegnare una struttura che si adatti alla sua persona. L’architettura in effetti è una specie di abito che si indossa, cerco quindi di creare un’armonia tra la persona, il mio committente, e l’architettura pensata per lui.
Una piacevole sensazione di armonia è quello che proviamo nel concludere l’intervista con Mr. Kengo Kuma. L’incontro con lui ci ha permesso di scoprire di più sulla sua persona e sul suo fare architettura, rivelandoci un uomo ed un professionista equilibrato, divertente e ponderato allo stesso tempo. Forse il segreto della sensazione di serenità trasmessa dalla sua architettura sta proprio in questo.
Story . Cristina Bigliatti, Sara Maltese
Photo . Piero Martinello,Takeshi Yamagishi, Fujitsuka Mitsumasa