DIMORESTUDIO e il segreto del suo successo internazionale stanno nella capacità assoluta di costruire un senso del gusto e della bellezza che riempie gli occhi senza mai affaticare lo sguardo. Esistono alcuni luoghi in cui l’esercizio d’ambiguità di tempo, luogo, stile, forme e materie appare d’obbligo per obbligare il visitatore a rallentare il passo e guardarsi intorno come per la prima volta.
Accade ogni volta che si entra nella palazzina Borghese a Roma, dove il cardinale Scipione si divertì a mescolare marmi romani policromi con stucchi così sofisticati da sembrare reali, inserti scultorei di epoca imperiale con gessi rinascimentali, opere sublimi come l’Ermafrodito appoggiate a un letto di bianco marmo disegnato come falso da Bernini.
Dovevano sortire lo stesso effetto gli arredi neo-egizi pensati da Piranesi per gli appartamenti papali al Quirinale accostati ai bronzi neo-romani, alle infilate di pavimenti policromi in marmo, gli arazzi fiamminghi della scuola di Raffaello, le antichità di varia scala mescolate tra gli arredi per raccontare del gusto raffinato del suo collezionista il tutto illuminato in un misto da grandi candelieri e squarci di luce naturale che arrivavano dal cielo romano.
Che dire di John Soane e della sua “mitica” casa londinese immaginata guardando agli interni di Robert Adam che era stato a scuola da Piranesi a Roma? Saltando agli interni milanesi di Buzzi, Portaluppi e Ponti che tra gli anni Trenta e i Cinquanta sanno fare cantare le materie che plasmano tra i marmi di toilette imperiali, i metalli e i legni degli infissi, boiserie e arredi, i vetri veneziani disegnati con grazia fragile e ironica, i tessuti trattati con grazia antica e un gusto del colore ogni volta inatteso che contribuisce a costruire atmosfere inarrivabili.
Byung-Chul Han, filosofo contemporaneo di origine coreana e scuola teutonica, ci dice che per salvare la bellezza bisogna celarla, smarrirla nell’ambiguità del non visto, combattendo l’immanente senso della levigatezza che abbatte in ogni ambito il nostro senso estetico e l’impossibilità di riconoscere il bello nel profondo della nostra anima. La bellezza risiede nel ruvido, nel contrasto tra gli opposti, nel salto di sensibilità che vengono costrette a dialogare attraverso uno sguardo diverso e originale, nella costruzione di un universo di forme e sensi che stordisce e seduce riducendo drasticamente il tempo del consumo che ci possiede.
Ma per costruire questi mondi sempre più rari ci vuole un talento radicale, irriverente verso il gusto irretito dal mainstream che tutto appiattisce, colto da sapere con che materia si gioca e fino a dove è possibile portarla, tirannico per la consapevolezza chiara d’imporre un senso del gusto estremo ma seducente al punto da irretire e portare in un mondo altro che si compone di universi che cambiano in continuazione.
Dimorestudio e il segreto del suo successo internazionale stanno nella capacità assoluta di costruire un senso del gusto e della bellezza che riempie gli occhi senza mai affaticare lo sguardo, dimostrando un equilibrismo tra invenzione, memoria non scontata, costruzione della forma dello spazio, materia pastosa del colore e della luce, grazia sensuale del tatto necessario che offre esperienze di cui siamo affamati senza saperlo. Nei loro interni commerciali, abitazioni, stanze di hotel, ristoranti o spazi per una esposizione temporanea da Salone si riconosce ogni volta una ricerca ossessiva e assoluta di un senso del bello che ci fa pensare per un attimo che la preziosità sia una esperienza per tutti, ma si tratta di una pericolosa illusione perché per costruire questa potente epifania estetica bisogna necessariamente parlare con quel cinque percento mondiale che può supportare tanta meraviglia e abitarla quotidianamente. Si tratta del senso del lusso e di una sperimentazione estrema che poi consente di nutrire un gusto più diffuso che trarrà vantaggio da vette così elevate portandoci a intuire in che cosa consiste quell’arte tutta italiana della mimesi, dell’ecclettismo e della continuazione eretica di tradizioni artigiane e progettuali che possiamo ogni volta tradire per fare rinascere.
Interview . Luca Molinari