C’è qualcosa di unico e interessante nella storia di Kunlé Adeyemi, fondatore di NLÉ architects con uffici a Amsterdam e Lagos e sicuramente uno degli autori contemporanei più originali di una scena culturale capace di combinare la forza di un mondo che sta sempre più emergendo con visioni e desideri nuovi e l’esperienza dell’avanguardia più sofisticata nella passata relazione con Rem Koolhaas.
È in questo incontro e nella sua necessaria ibridazione che riconosciamo una qualità che ci racconta di un tempo in cui il dialogo tra differenze produce ricchezza e visioni originali di cui la metropoli contemporanea ha assolutamente bisogno.
In un dialogo via skype tra Milano e Lagos avviene questo incontro.
LM | Questo numero di Platform intitolato “Welcome” è incentrato su un atteggiamento che va oggi necessariamente richiesto all’architettura: la capacità di accogliere tutti e di generare nuove e stimolanti relazioni all’interno di comunità fluide. Ritengo che il lavoro da lei svolto con la scuola galleggiante di Lagos (Makoko Floating School) sia una sorta di “manifesto” di un modo diverso di operare in Africa oggi. Allo stesso modo, la sua biografia delinea una chiara ibridazione tra Africa ed Europa contemporanee. Può dirmi qualcosa di più sulla sua storia personale? Come mai da Lagos, in Nigeria, ha deciso di trasferirsi in Olanda?
KA | Sono nato e cresciuto in Nigeria, dove ho anche compiuto i miei studi liceali e universitari. Sono originario della parte settentrionale del paese, precisamente di una città chiamata Kaduna. A dodici anni, mi sono trasferito a Lagos dove ho frequentato il liceo. Poi sono andato nuovamente al nord prima di ritornare per studiare architettura. Ero prossimo alla laurea quando ho incontrato Rem. Era a Lagos con alcuni studenti di Harvard. L’ho conosciuto quando cercava studenti locali che lo aiutassero. In molti hanno risposto e fortunatamente io sono stato scelto.
LM | Lagos deve aver rappresentato un bello shock per lui pur essendo uno studioso e teorico della dimensione metropolitana, per via del suo carattere sorprendente, ma al tempo stesso opprimente.
KA | Esatto, considerando, inoltre, che era anche un periodo tra i più difficili della storia recente del paese.
LM | Lei ha fatto l’esatto contrario: da Lagos è partito per Rotterdam.
KA | Sì, ero un giovane architetto. Ho iniziato molto presto come assistente designer e ho avuto la fortuna di trovare ottime opportunità lavorando tanto e duramente su progetti in diverse parti del mondo: Cina, Corea del Sud, ecc.
LM | Si riferisce al suo lavoro per Prada?
KA | No, quello è arrivato successivamente.
LM | Quindi è entrato direttamente in una sorta di rete globale?
KA | Praticamente sì. Ho lavorato per un paio d’anni su progetti e gare e a un certo punto ho deciso che avevo bisogno di una formazione più approfondita e ho ottenuto l’ammissione a un master a Princeton, nel New Jersey. Ho mantenuto il mio rapporto con OMA mentre studiavo e durante le vacanze sono sempre tornato a lavorare per lo studio. Per molti anni, ho avuto un rapporto molto stretto con Rem. Quando mi sono laureato, mi ha chiamato per offrirmi una nuova posizione lavorativa. Ho accettato e mi sono trasferito a Rotterdam. Ho lavorato allo studio OMA per altri 5 anni su numerosi progetti a Londra, in Cina e in Qatar.
LM | L’anno scorso ho avuto l’opportunità di vedere la Biblioteca Nazionale del Qatar. Davvero impressionante. L’idea dello “scavo archeologico” all’interno dell’edificio è geniale.
KA | Ah, è stato davvero divertente mettere in relazione l’eredità culturale con l’idea dello scavo archeologico.
LM | Mi ha davvero colpito! Sono italiano, per cui ogni volta che vedo delle “rovine” mi emoziono. E dopo questa esperienza ha aperto il suo studio?
KA | Sì, nel 2010. Volevo riportare parte delle conoscenze acquisite in Africa per applicarle a problemi di vario genere per i quali avrebbero potuto avere una maggiore rilevanza. È difficile riuscire a ruotare uno spazio multifunzionale come il Prada Transformer, ma è altrettanto complesso affrontare la creazione di alloggi adeguati in Africa.
LM | Certo, una scuola galleggiante costruita sull’acqua è problematica. Sono perfettamente d’accordo con lei.
KA | Sì. Dal mio punto di vista, la maggior parte dei problemi sono legati al valore, all’identità e alle prestazioni.
LM | E qui torniamo chiaramente a parlare di Amsterdam. È davvero interessante perché fin dall’inizio ha sempre avuto questa dualità. Analizzando la sua storia, è evidente come abbia immediatamente cercato d’instaurare una relazione con la Nigeria e, nel frattempo, lavorare sul mercato internazionale come progettista, forte dell’esperienza acquisita.
KA | Sì, ho iniziato nel 2010 occupandomi semplicemente di ricerca e trascorrendo del tempo in Nigeria. Mi chiedevo come avrei potuto essere un valido aiuto e quali fossero le sfide da affrontare. Nei primi due anni, la mia attenzione si è concentrata soprattutto sulla Nigeria, leggendo molto, facendo numerose ricerche, scoprendo le priorità del paese.
LM | Il fatto che si sia dedicato a studi e ricerche a supporto del suo lavoro non è usuale, direi. Apprezzo molto questo tipo di approccio.
KA | Grazie. Nel 2011 mi sono dedicato anche all’insegnamento. Sono stato nominato dall’Università di Washington co-tutor assieme a Vikram Prakāsh per gestire uno studio a Chandigarh, in India, nell’ambito di un programma della durata di dieci settimane sulla globalizzazione e sulla città modernista. È stato affascinante studiare la città.
LM | Immagino. In un certo senso è una sorta di luogo dove la tradizione si scontra con la modernità.
KA | Esattamente. Penso sia stata davvero una delle esperienze più educative che ho avuto modo di vivere e che ha sviluppato il mio approccio architettonico, anche nei confronti dell’ambiente. È una città talmente incredibile, con una grande architettura modernista posta all’interno di un contesto talmente semplice, “terra terra” e umano. Il contrasto è tangibile… Per me è stata un’esperienza estremamente formativa.
LM | Davvero molto interessante. In un certo senso è riuscito a combinare le cose: da un lato un’esperienza di altissimo livello nel mondo dell’architettura, con i migliori clienti di uno studio che rappresenta l’eccellenza, e dall’altro è tornato alle comunità in cui alberga la vera realtà.
KA | Esatto. Semplicità della vita, semplicità delle risorse e meno tecnologia. In un certo senso, si vedono luoghi dove tutto è ancora possibile e stimolante.
LM | Come è nato il progetto per Makoko? In un certo senso, è uno dei progetti di maggior successo del suo studio. Mi piace pensare che sia diventato una specie di prototipo: oltre a Lagos e a Venezia, ho appena scoperto che esiste anche in Belgio. Si sposta da un contesto all’altro.
KA | Sì, sta crescendo e si amplia. Mi piace ricordare una dichiarazione che ho scritto probabilmente nel 2010, quando ero all’inizio di NLÉ: una profonda comprensione della consapevolezza da me acquisita sulla sostanziosa intelligenza collettiva presente nella vita di tutti i giorni e nelle persone. Ho iniziato a chiedermi quali fossero le sfide più grandi a Lagos e i contatti con il governo hanno evidenziato il problema degli alloggi a prezzi accessibili. Riflettendo alla questione mi sono detto che probabilmente gli abitanti di Makoko già costruivano abitazioni economiche e che quello era un posto da cui trarre ispirazione. Tramite una persona legata alla comunità, ho potuto fare dei sopralluoghi ed è così che è iniziato il mio rapporto con il posto.
È stato scioccante e stimolante vedere come le persone possono fare così tanto partendo da risorse ridotte: per me è stata una grande lezione.
LM | Anche perché il progetto mostra come una forte visione innovativa con un budget ridotto possa essere tanto impegnativa a livello di ricerca di nuovi modi di vivere insieme. In ciò vedo tutta la forza dell’idea che veicola un modo per cambiare prospettiva, creando un monumento contemporaneo. La gente ha bisogno di speranza e di luoghi di cui andare orgogliosa.
KA | Un luogo che sia legato all’identità della gente, che garantisca sicurezza e risponda alle esigenze delle persone. Un luogo che possa diventare un punto di riferimento, una casa. Il resto è una complessa serie di rapporti. Abbiamo ricevuto il sostegno del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e della Fondazione Heinrich Böll e abbiamo condotto studi preliminari, ricerche sociali e ambientali. Ben presto ci siamo resi conto che una delle maggiori sfide di Makoko non era solo quella di costruire edifici, ma che la comunità aveva bisogno di sicurezza e rassicurazioni. Il potenziale del luogo era elevato, ma mancavano questi due aspetti.
LM | Anche l’architettura è in grado di accogliere e di trasmettere un senso di appartenenza. Per me rassicurare significa fornire riconoscimento in quanto essere umano.
KA | Esatto e penso che la parola “welcome” sia un invito a “sentirsi a casa”, qualcosa da cui non si può prescindere. Possiamo rendere le città come le nostre case: accoglienti. La sensazione di essere a casa è un valore umano peculiare, che collega l’uomo alla terra.
LM | Ho visto la sua Black Rhino Academy e ho scoperto di recente il progetto A Prelude to The Shed.
KA | Hanno aperto entrambi di recente. A Prelude to The Shed a maggio.
LM | In questi progetti che possono sembrare molto diversi trovo un forte legame con l’idea di sentirsi a casa che in un certo senso dà la possibilità all’edificio di comportarsi diversamente, non solo come “contenitore”, ma come luogo dal carattere forte. Per me è una sorta di paradosso che alcune architetture contemporanee iperflessibili diventino più simili a un contenitore generalista piuttosto che a un luogo dedicato alla comunità. Riesco a ritrovare nei suoi diversi progetti sempre lo stesso filo conduttore.
KA | Certo, cerchiamo di sfruttare quanto appreso in contesti diversi. Attraverso progetti complessi, si capisce che l’architettura va oltre la mera progettazione per diventare un ecosistema di fattori diversi che esulano dal visual design. Makoko è una comunità che sottolinea l’esperienza di valori fondamentali come l’importanza dell’ambiente, delle persone e del comportamento umano in contesti impegnativi e con scarse risorse alla base delle scelte degli individui per vivere ed essere felici.
LM | Nel frattempo, la casa resta immutata. Nel ventesimo secolo si facevano grandi studi su case e alloggi, ma al momento la tipologia dell’abitazione è la stessa di 100 anni fa. Pertanto, la città evolve molto rapidamente, ma la casa si ritrova schiacciata dai centri urbani, incapace di crescere con la stessa rapidità.
KA | Giusto, però credo che sia giunto il momento di domandarci se siamo in grado di tradurre i valori legati alla casa su una scala più ampia: la città. Le città sono una delle più grandi invenzioni umane, soprattutto considerando che l’uomo è sempre più ambizioso che possono essere costruite quasi con la stessa velocità delle case.
LM | Sono d’accordo e spero che avremo modo di parlarne ancora perché è un argomento che merita di essere approfondito.
Interview . Luca Molinari