Il progetto Diriyah Art Futures di Schiattarella Associati in mostra alla Querini Stampalia.
Cosa significa oggi “radicarsi”? Quale forza può ancora avere la parola “tradizione” nel tempo in cui l’architettura globale sembra sfinita da un’eterna iterazione di codici autoreferenziali e morfologie decontestualizzate? La mostra “L’impronta leggera”, curata da Marta Francocci alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia e prorogata fino al 30 agosto, è un’occasione preziosa per riflettere su queste domande. Lo fa attraverso un progetto che si offre come ponte tra mondi – temporali, geografici, simbolici: il Diriyah Art Futures (DAF) a Riad, primo centro interamente dedicato alle Arti dei Nuovi Media nella regione MENA, firmato dallo studio romano Schiattarella Associati. Situata nei suggestivi spazi scarpiani della Querini – dove il disegno architettonico si fa già racconto silenzioso e tattile – la mostra mette in scena non solo un edificio, ma una visione: quella di un’architettura capace di esistere senza occupare, di radicarsi senza retorica, di progettare il futuro senza abiurare la storia.
Il progetto: tra tradizione costruttiva e codici emergenti
Il DAF sorge nella zona di At-Turaif, sito Unesco alle porte di Riad, ed è il primo dei ventiquattro musei previsti dalla Saudi Vision 2030. In questo senso, l’opera di Schiattarella Associati si iscrive in un disegno più ampio, che non è solo urbanistico o culturale, ma quasi geopolitico. L’Arabia Saudita sta riscrivendo la propria narrazione attraverso l’arte e la conoscenza, e la scelta di affidare a uno studio italiano la regia di questa architettura simbolica è già una dichiarazione d’intenti: superare la polarità Occidente/Oriente a favore di un nuovo dialogo, non pacificato ma necessario. L’edificio si sviluppa come un complesso integrato più che come un oggetto isolato: si adagia sulla scarpata rocciosa anziché dominarla, sfrutta il paesaggio e il clima per ridurre consumi e impatti, riscopre la sapienza vernacolare della Najdi architecture (terra cruda, pietra, intonaci di fango) traducendola in chiave contemporanea. Nulla qui appare mimetico o folclorico: la tradizione diventa grammatica di progetto, non nostalgia da cartolina.
L’impronta che resta
Il titolo della mostra – L’impronta leggera – non è mera metafora poetica. È il manifesto di una posizione etica e formale. In un tempo in cui l’architettura spesso si impone con gesto assertivo o si dissolve in formalismi vacui, il progetto del DAF e la sua narrazione curatoriale rivendicano la possibilità di un design a bassa voce, dove ogni scelta (materica, spaziale, climatica) è orientata a costruire una continuità, non una frattura. La mostra, che alterna modelli, schizzi, fotografie, video e disegni, restituisce in modo chiaro la complessità del processo progettuale. I materiali fotografici di Paolo Pellegrin, con il loro sguardo potente e intimo al tempo stesso, raccontano il cantiere come luogo umano, terreno di visioni in divenire, dove la macchina del costruire incontra la sabbia, la luce, il vento.
Un modello per le istituzioni culturali future?
Il DAF, come dichiarano i promotori, vuole essere un hub multidisciplinare per le arti digitali, ma anche un modello per le future istituzioni culturali della regione. Le sue residenze artistiche, i programmi educativi, la collaborazione con Le Fresnoy lo collocano in quella soglia preziosa dove il museo non è più solo luogo di esposizione, ma macchina attiva di produzione di sapere, laboratorio, officina, archivio vivente. Eppure ciò che colpisce, più di ogni tecnologia, è la delicatezza con cui questa infrastruttura si inserisce nel proprio paesaggio fisico e simbolico. Una qualità sempre più rara nell’architettura culturale globale, che spesso rincorre l’effetto, il landmark, il primato. Qui invece domina la logica dell’intervallo, della soglia, della continuità fra interno ed esterno, fra ieri e domani.
Una Biennale che guarda all’intelligenza collettiva
La presenza del progetto anche nella sezione Intelligens Canon della 19. Biennale di Architettura, curata da Carlo Ratti, conferma la centralità del DAF nel dibattito contemporaneo. In un’edizione che indaga le forme dell’intelligenza – naturale, artificiale, collettiva – il progetto di Schiattarella Associati mostra come l’architettura possa farsi mediatrice fra intelligenze multiple: quelle sedimentate nella cultura materiale e quelle emergenti nei linguaggi digitali.
CREDITI
Progetto: Diriyah Art Futures (DAF), Riad
Architettura: Schiattarella Associati
Fondatori: Amedeo, Andrea e Paola Schiattarella
Curatrice della mostra alla Fondazione Querini Stampalia: Marta Francocci