L’arte come urgenza civile e progetto di pace

Nel vasto spazio post-industriale di oltre 2000 metri quadri che ospita de bello. notes on war and peace, a Bergamo, l’arte non è solo testimonianza: è grido, documento, rovina e speranza. La prima esposizione collettiva promossa da gres art 671 – con la curatela di Francesca Acquati e 2050+ – mette in scena un viaggio attraverso sette secoli e decine di geografie, per parlare della guerra con lo sguardo obliquo e necessario dell’arte.

Con oltre 30 artisti in mostra – da Joseph Beuys a Marina Abramović, da Burri a Kiefer, da Claire Fontaine a Maja Bajević, fino ai collettivi più attuali come Total Refusal . la mostra non intende raccontare la guerra in senso documentaristico, ma evocare, smuovere, interrogare. Le opere, molte delle quali inedite, si declinano in media differenti: pittura, installazione, videoarte, fotografia, tessili, performance, videogiochi. Il conflitto viene esplorato in tutte le sue forme: come memoria, come trauma, come dato storico e come condizione attuale, in Ucraina, in Medio Oriente, in America Latina.

Il percorso espositivo si articola in cinque nuclei tematici, quali Pace apparente, Allarme, Guerra, Macerie, Resistenza, che scandiscono un crescendo emotivo, attraversando la vulnerabilità dell’individuo e delle comunità, fino alla possibilità della resilienza.

Il progetto espositivo, affidato allo studio 2050+, è parte integrante della narrazione. Con una regia spaziale precisa, lo studio milanese – già noto per il suo approccio transdisciplinare tra architettura, design e media – costruisce un impianto scenografico che non si limita a ospitare le opere, ma ne amplifica il potenziale percettivo ed emotivo.

L’allestimento è concepito come un paesaggio murario monocromatico, realizzato interamente con mattoni prefabbricati in cemento. Blocchi grigi, opachi, solidi e disadorni, che evocano ambienti domestici smembrati o cantieri di ricostruzione: spazi della memoria ma anche luoghi del possibile. Le partiture murarie – variabili in altezza, densità e orientamento – scandiscono il percorso espositivo e suggeriscono traiettorie visive mai univoche, frammentate, in linea con la tematica della mostra.

Questa scelta formale, aspra e minimale, si offre come metafora architettonica della guerra: l’edificio distrutto, il rifugio improvvisato, ma anche la parete che resiste, che protegge, che si può ricostruire. Un gesto che sintetizza il cuore del progetto: parlare di distruzione ma anche di possibilità, di crolli ma anche di cura.

Come afferma Roberto Pesenti, presidente di gres art 671: «De bello esprime la volontà di utilizzare l’arte per testimoniare, provocare e soprattutto ispirare l’urgenza della pace». L’allestimento di 2050+, in questo senso, non è semplice contenitore, ma si fa linguaggio e posizione. In uno scenario geopolitico complesso e fragile, de bello dimostra che l’arte e il modo in cui viene messa in scena può ancora essere strumento di consapevolezza collettiva e architettura politica del presente.

Per maggiori info: www.2050.plus

CREDITI
Progetto: de bello. notes on war and peace
Architetto: 2050+
Luogo: Milan, Italy
Anno: 2025
Fotografia: Diego De Pol