Bugatti Automobili, ciò che resta della Fabbrica Blu

Prendi un giorno di sole, come non molti ne regala in inverno la terra dei motori, e vai a fare visita alla Fabbrica Blu.
Già, la Fabbrica Blu, quella che fin dai primi anni Novanta mi faceva sognare, tutte le volte che la vedevo, appena dopo aver imboccato la A22, a Campogalliano.
Fin da allora lo ritenevo un luogo speciale. In primis per via di quelle incredibile automobili che vi venivano prodotte, e poi per il fascino di quella fabbrica avveniristica.
In quei primi anni dell’ultimo decennio del secolo scorso, tuttavia, mai nessuno poteva immaginarsi, che l’avventura italiana della Bugatti Automobili, sarebbe stata così breve.

Tutto si mette in moto nel 1987, quando l’industriale Romano Artioli decide di rilevare il marchio Bugatti dagli eredi di Ettore Bugatti, con la precisa idea di tornare a realizzare un’auto sportiva, degna di quel nome, e senza rivali tra le altre supercar dello stesso periodo.
Dopo aver valutato differenti soluzioni, decide di realizzare lo stabilimento di produzione là dove risultava più facile trovare tecnici ed ingegneri all’altezza di questa sfida: in Emilia. In quello stesso fazzoletto di terra dove già sorgevano realtà come Ferrari, Lamborghini, Maserati e De Tomaso e stava nascendo la Pagani.
È così che prende il via, a Campogalliano, l’avventura italiana della Bugatti Automobili S.p.A.
Contemporaneamente allo sviluppo della macchina, viene avviata la progettazione architettonica della fabbrica.
Lo sviluppo dell’automobile è in un primo momento affidato all’ingegner Paolo Stanzani, già papà della Lamborghini Miura, mentre la progettazione della fabbrica è affidata allo studio Benedini&Partners di Mantova. Entrambi i progetti arrivano a compimento in tempi molto brevi, infatti, sia lo stabilimento che il prototipo, di quella che sarà l’EB110, sono pronti nell’estate del 1991.
 

Ogni singolo aspetto di questa fabbrica, era stato pensato, con il preciso intento di realizzare un luogo speciale e fortemente emozionale.
Questo perché sia Artioli che l’architetto Benedini ritenevano che ciò fosse importante per i lavoratori, che in un posto del genere sarebbero stati ispirati per dare il meglio delle proprie capacità, sia per i clienti, che sarebbero dovuti rimanere stupiti dalle ricercate soluzioni e dalla bellezza profusa in ogni dettaglio.
L’idea di Artioli non era infatti quella di creare solo una fabbrica di produzione di automobili, ma di offrire un’esperienza indimenticabile ai potenziali clienti.

Il “dentro” degli uffici, e il “fuori” degli spazi verdi, si univano in un tutt’uno di forme, che, da un lato, faceva sentire l’ospite subito a casa, e dall’altro, offriva un gran senso di rilassatezza, alle persone, che in questi uffici, passavano tutta la giornata.

È in questi spazi che vennero assemblati i prototipi delle prime autovetture. Oltre quei vetri e quei portoni, infatti, fu realizzato il primo esemplare di quella che sarebbe poi risultata essere l’unica automobile “di serie” entrata in produzione in questo stabilimento: la Bugatti EB110.
Negli anni successivi alla realizzazione del prototipo, questi spazi furono utilizzati per la ricerca e lo sviluppo di componenti dell’automobile. In tutto lo stabilimento erano tre le zone denominate “Esperienza”, dedicate alla ricerca e allo sviluppo di elementi o parti delle autovetture.

La prima sensazione che si percepisce, una volta entrati all’interno degli spazi produttivi, è quella di essere arrivati in un luogo in cui è stata scritta una parte della storia dell’ingegneria applicata alle automobili in Italia.
Arrivando in questo posto mi tornano subito alla mente i dati di quell’incredibile supercar: telaio mono scocca in fibra di carbonio, quattro turbo compressori, trazione integrale, 5 valvole per cilindro.
Insomma, per l’epoca, un capolavoro di tecnica e ingegneria.
Ma il presente è avaro di ricordi, e lì, dove una volta c’era la linea d’assemblaggio, ora c’è solo un grande spazio vuoto.

Negli spazi interni degli uffici dominano i toni del bianco e i materiali organici e preziosi. Pavimenti in marmo alla reception, sanpietrini nella sala mostra, sono solo alcuni degli esempi di materiali utilizzati per l’arredamento di questi spazi.
Il vuoto di oggi stona con il ricordo delle persone che vennero in questo, posto durante gli anni di attività della fabbrica. Della vitalità e frenesia di quei tempi rimane solo qualche segno qua e là: una bandiera del Giappone, probabilmente l’ultima delegazione ricevuta e l’agenda della reception con gli ultimi visitatori registrati.

Come un fulmine a ciel sereno il sogno finì il 23 settembre 1995. In quella data fu infatti dichiarato il fallimento della Bugatti Automobili, in quel sabato di settembre furono posti i sigilli agli impianti di produzione. Nello stesso momento in cui gli ufficiali giudiziari apponevano i sigilli, all’interno della fabbrica erano presenti dei tecnici che stavano finendo di preparare la macchina per la gara di Le Mans.
I debiti accumulati dalla gestione industriale di Artioli saranno pure stati alti, si parla di oltre 180 miliardi di lire, ma di certo nessuno si aspettava un epilogo così violento.

Il marchio Bugatti fu venduto, nel 1998, per una lira alla Volkswagen, nel tentativo di limitare gli effetti del crac, e con l’intento di fare sopravvivere il marchio al fallimento della Bugatti Automobili.
In uno dei calendari appesi alle pareti del reparto esperienza, in corrispondenza della data del 23 settembre 1995, è stata aggiunta la scritta “hic sunt leones“. Dopo avere visitato questo luogo, e dopo aver riscoperto tutto quello che è stato fatto, dalle persone che qui hanno lavorato, anch’io, posso dire, che in questo luogo ci sono stati dei leoni.